La “Tana della Mussina” rappresenta uno dei maggiori monumenti dell’età eneolitica (III millennio a.C.), periodo caratterizzato dal primo utilizzo del metallo, il rame. Il Chierici vi condusse, alla fine del 1871, uno scavo stratigrafico, esemplare per quei tempi, fornendone una ampia relazione nel suo scritto “Una caverna del reggiano esplorata”. Lo scavo ha fornico reperti ceramici, 15 accette in pietra verde, un pugnale di selce, oggetti in osso, una lesina e un chiodo di rame e i resti – non in connessione anatomica di 10 individui di entrambi i sessi e tutte le classi di età. Il materiale è custodito nel museo di Reggio. Secondo la descrizione del Chierici, la maggior parte delle ossa giacevano in due rientranze della parete di sinistra, mentre alcuni crani recanti tracce di combustione erano posti su un “terrazzino” (che il Chierici chiama anche “altare”) formato da massi di gesso, alto circa 60 cm., la cui superficie, spianata, era ricoperta di carboni per un considerevole spessore e appariva cotta dal fuoco. Sullo stesso “altare” si trovavano alcune delle accette e cocci di ceramica.
L’insieme dei dati suggerì al Chierici l’ipotesi che nella grotta si fossero svolti riti comprendenti sacrifici umani e banchetti cannibalici. L’ipotesi non è da respingere affrettatamente – basti pensare che riti analoghi erano ancora comuni, fino a pochi decenni fa, presso “primitivi” contemporanei. Recenti studi sembrano avvalorare, almeno in parte le intuizioni di Chierici sul carattere “macabro” dei rituali condotti nella grotta. La “Mussina” si può considerare come a una grotta sepolcrale (una “casa dei morti”), nella quale una tribù eneolitica (molto probabilmente stabilitasi sulla vicina rupe che ora ospita le rovine del castello) deponeva definitivamente crani e ossa lunghe dei defunti, dopo averli solo parzialmente cremati (questo giustificherebbe le tracce di fuoco sulle ossa).