Rubrica mensile in dialèt arşân – Luglio 2022

Il Comune di Albinea e il gruppo di cultori e studiosi Léngua Mèdra Rèş e la nôstra léngua arşâna propongono mensilmente un approfondimento sulla nostra straordinaria lingua madre, il dialetto reggiano! Non perdetevi questi appuntamenti, alla scoperta del significato di espressioni, modi di dire, proverbi e molto altro!

L’appuntamento mensile di luglio con la nostra rubrica dialettale si compone di due contenuti:

🟠 La sposa porcaja. Antica canzone popolare

Un letterato e ricercatore di tradizioni popolari raccolse il testo di questa canzone a Montericco di Albinea e la pubblicò nel 1901. Il testo è purtroppo privo di due versi e ci siamo detti che, forse, qualche famiglia di Montericco potrebbe avere ancora in un vecchio cassetto le parole mancanti e sarebbe veramente un colpo da maestri riuscire a risolvere il mistero.

A questa prima, iniziale, ragione ha fatto seguito la scoperta di una bellissima storia che affonda le sue radici al tempo delle Crociate. Di questa ballata esistono molte versioni diffuse in Provenza, Bretagna, Catalogna, Italia del Nord e, con varianti più marcate, anche nei Balcani e nei paesi slavi, denunciandone un’origine comune.

Il ricercatore di cui si parla è Giuseppe Ferraro, un letterato piemontese, nato nel 1845 a Carpeneto, un paese del Monferrato in provincia di Alessandria. La sua passione era lo studio del folclore delle diverse terre ove dovette trasferirsi per ragioni professionali. Ebbe infatti numerosi incarichi nel campo dell’istruzione che lo portarono a soggiornare in molte città, tra cui Reggio Emilia, negli anni 1890-91. Anche qui raccolse numerosi testi, riuniti nell’opera Canti popolari della Provincia di Reggio Emilia, disponibile presso la  biblioteca Pablo Neruda di Albinea.

👉 Della canzone La sposa porcaja il Ferraro pubblicò tre diverse versioni: una del Monferrato, una seconda ferrarese e quella che qui pubblichiamo nota in terra reggiana.

A g-ho d’ andär ‘la gvera

Comm’ hò-ja mai da fär?

G-ho na spusletta zovna

E qui la tien lassär.

La bela sta sett ani

Nè rider nè parlär

Al bell prèm cant chi fò

Al so mari al rivò.

Tasì, tasì, me genta

Ch’ e possa ben scultär

L’è sta spusletta zovna

Ch’ la sa csi ben cantär.¬-

Spusletta, la me spusletta

Èd chi jen-i ‘sti be’ porc?

I-jenn dla me’ nonina

Ghe psėssa gnir la mort.

Parė

e mo su quei porc

Andèmma a la mason,

Quand i sari po’ in càsa

Fari vòstar razon.

Màdra, o càra màdra

M’ avi fatt un gran tort

‘Vèrgagh sol ‘na norina

E mandàrla fora i porc!

[Traduzione]

Devo andare in guerra/ come debbo fare?//Ho una sposa giovane/e qui la debbo lasciare//La bella sta sette anni/ senza ridere e parlare.//Il primo giorno che cantò/ arrivò suo marito//Tacete, tacete miei servi, compagni/ch’io possa ben ascoltare//E’ questa giovane sposa/che canta così bene// Sposa, mia sposa / di chi sono questi bei porci?// Sono di mia suocera/ che possa venire a morte.// Spingete a casa i porci/Andiamo a casa,// Quando sarete poi in casa/ farete (direte) le vostre ragioni.// Madre, o cara madre/ m’avete fatto un grande torto,// Avete in casa solo una nuora/e l’avete mandata fuori a pascere i porci.

[Nota]: ė =  suono intermedio tra e e i.

La canzone narra dunque di un marito che parte per la guerra e raccomanda la sua giovane sposa alla madre. Una volta partito, la madre manda la nuora a pascere i porci anziché assicurarle una vita dignitosa, guadagnandosi così tutto l’odio della giovane donna. Dopo sette anni (un numero canonico, che si ritrova in tante fiabe) il marito torna, quasi chiamato dal primo canto della sua sposa dopo tanti anni. Scopre così la verità ed esprime tutta la sua amarezza alla madre per aver tenuto questo comportamento.

Nelle altre versioni della canzone, il finale è molto più forte: sarà la madre che da quel momento dovrà servire la moglie (versione monferrina) o il marito uccide la moglie non potendo uccidere la madre (versione ferrarese). Queste versioni ci danno inoltre degli indizi su cosa potrebbe mancare in quel punto del testo dialettale sostituito dai puntini: probabilmente le parole di rassicurazione della madre al figlio, che avrebbe avuto cura della nuora, ma non possiamo esserne certi.

🟠 Lój, l’aqua…e la Borda (dalle Storie del tabarro – Storî dal Tabâr)

Stavôlta av vòj cuntêr ’na stôria ch la pèrla dl’aqua, vést ch’l as fà tânt tribulêr.

Gh î da savèir,  dovete sapere, che quando eravamo piccoli, i nôster vècc s’arcmandêven di stare molto attenti all’orlo del pozzo dove si attingeva l’acqua con un s’cîn e ’na sirèla (carrucola) ch la sighêva. Avvicinarsi e sporgersi sul pozzo significava esporsi alle brame della Borda!

La Borda l ēra ’na bèstiasa bróta cme la fâm, presente in tutta l’Emilia-Romagna, con nomi leggermente diversi da una provincia all’altra. A Reggio è detta anche Burda o Burdana, ma la sostanza non cambia.

Questo  animale, tra fantastico e mitologico, abitava nel fondo di pozzi e dei tanti stagni (mêşer) dove veniva fatta macerare la canapa.

Al magnêva sòl la chêrna  şòvna di ragâs, che riusciva ad agguantare con le possenti e nerborute braccia pelose; i suoi occhi erano coperti da una benda, il corpo squamoso, impiastricciato di fango. Guai ai malcapitati che si avvicinavano troppo!

Gnîven branchê e tirê şò in fònd sèinsa pietê.…

La giustificazione per un tale essere maligno era quella di spaventare i bambini affinché non si avvicinassero a pozzi e maceri con il rischio di precipitare o annegare.

Il nome pare derivare dalla radice linguistica bor- che partecipa alla formazione di nomi di luoghi e di voci comuni che hanno attinenza con acque sorgive o termali nel Nord Italia e area transalpina. Un esempio è il toponimo Bormio, città ricca di acque termali.

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Al prossimo mese!