Rubrica mensile in dialèt arşân – Giugno 2022

Il Comune di Albinea e il gruppo di cultori e studiosi Léngua Mèdra Rèş e la nôstra léngua arşâna propongono mensilmente un approfondimento sulla nostra straordinaria lingua madre, il dialetto reggiano! Non perdetevi questi appuntamenti, alla scoperta del significato di espressioni, modi di dire, proverbi e molto altro!

L’appuntamento mensile di GIUGNO con la nostra rubrica dialettale si compone di due contenuti:

🟠 LA ROŞÊDA D SAN ŞVÂN

a cura di Denis Ferretti

Nel mese di giugno la data più significativa legata alla tradizione locale è sicuramente il giorno di San Giovanni.  O meglio “la notte” di San Giovanni, che in realtà rappresenta il solstizio d’estate, ovvero il punto massimo delle ore di luce e ripropone da un punto di vista opposto i riti e le tradizioni del Natale da cui è separata de sei mesi esatti.

Le tradizioni legate a questa festività sono antichissime e pagane. Risalgono al periodo precedente l’occupazione romana, quando sul nostro territorio erano presenti popolazioni di origine celtica, che furono dapprima assoggettate all’impero e poi, con l’avvento del cristianesimo, convertite alla nuova religione di stato.

Quando il cristianesimo si sostituì alle religioni pagane preesistenti, la politica generale fu quella del rispetto delle tradizioni antiche e del minimo impatto sulle usanze locali a cui si assegnò solamente un valore diverso. Così come la preesistente “festa del sole” del solstizio d’inverno divenne Natale, nella notte di San Giovanni convergono le tradizioni che esaltavano i poteri della luce e del fuoco tipiche di tutte le culture precristiane fin dalla notte dei tempi. Nel giorno più breve dell’anno secondo il folclore (il solstizio astronomico in realtà è il 21 giugno), le comunità antiche celebravano riti scaramantici che avrebbero voluto rallentare la discesa del sole e mettere in fuga le tenebre e gli spiriti maligni da esse rappresentati.

San Giovanni nella nostra cultura è un giorno di festa. Tradizionalmente, considerando il periodo in cui l’orto offre il meglio, si mangiano i tortelli verdi, così come a Natale si mangiano i cappelletti in brodo con ripieno a base di carne. Piatti ricchi e costosi, che non ci si poteva permettere tutti i giorni, ma riservati a occasioni speciali come, per l’appunto, la notte più breve dell’anno, in cui si festeggia l’estate e si può star fuori fino a tardi.

Molte tradizioni sono legate alla “rugiada di San Giovanni” che avrebbe proprietà miracolose per tante cose. Forse è proprio per questo “culto dell’acqua” che la Chiesa ha scelto di associare a queste tradizioni il Santo associato al rito del battesimo, dove l’acqua ha un ruolo fondamentale.

La rugiada di San Giovanni arrivò perciò a rappresentare l’acqua del battesimo e le si attribuirono poteri miracolosi e propiziatori. Nel reggiano si raccomandava alle ragazze in età da marito di stare alzate fino all’alba perché essere esposte alla rugiada della notte di San Giovanni avrebbe assicurato loro un buon matrimonio. In altri casi si diceva che la rugiada di San Giovanni avesse altre virtù che andavano dal favorire la crescita di capelli molto belli al mantenimento della virilità. Per i più giovani era spesso una scusa per rimanere fuori più del solito e in tempi  in cui la contraccezione era quel che era, spesso andava a finire che la profezia del matrimonio “miracolosamente” si avverasse proprio in conseguenza degli avvenimenti di quella calda notte di festa.

Per quanto riguarda la gastronomia locale, il ruolo di San Giovanni è importantissimo nella preparazione dell’infuso di produzione casalinga più tradizionale: il nocino. Perché venga perfetto è necessario che le noci prima di essere raccolte abbiano avuto esposizione alla leggendaria rugiada di San Giovanni e proprio questo giorno è perciò il momento esatto in cui devono essere raccolte per avviare il processo di lavorazione che ci fornirà questo squisito liquore (Per un’antica ricetta del nocino si veda: http://www.dialettoreggiano.net/index_file/alnusein.htm)

🤓 Piccola appendice lessicale: Guâsa o Roşêda?

Due sinonimi che in realtà sinonimi non sono.

Visto l’argomento, colgo l’occasione per spiegare la differenza tra due termini che anche in dialetto oggi tendono a essere sovrapposti. In alcune zone si tende a dire sempre “guâsa” e in altre sempre “roşêda”.  Soprattutto nelle città. Nella cultura contadina e nei dialetti più conservativi invece i parlanti erano ben consci della differenza tra questi due fenomeni meteorologici. E’ una differenza, tra l’altro, presente anche in italiano, ma oggi è una conoscenza che appartiene solo ai meteorologi, mentre nella tradizione contadina si trattava di una cosa risaputa a ogni livello.

🟠 RACCONTI DEL TABARRO – speciale Giugno prova costume

“l’e dmèj  fêr  gōla che fêr pietê” a cura di Luciano Cucchi

Questa allocuzione era utilizzata per sottolineare  la generosità delle forme,  simbolo di ricchezza, salute e benessere che le famiglie che in questo modo ostentavano un alto tenore di vita.

Era punto d’orgoglio poter dimostrare alla gente che” la spōşa nōva rivêda in cà” era trattata con ogni riguardo “vèdet come l’ē dvintêda bèla ciûnta e capôlga?!” dopo che è venuta a far parte della nostra casa! Le rotondità Giunoniche erano dunque gran vanto per il casato ospitante! Stesso concetto del detto “l’ē dmèj barlechêr un ôs che un bastòun”. L’ imminente arrivo dell’ estate non deve giustificare estenuati privazioni per una “prova costume” che vi adegui a canoni di bellezza sempre opinabili e di sicuro non costanti nel tempo.

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