Rubrica mensile in dialèt arşân – Settembre 2022

Il Comune di Albinea e il gruppo di cultori e studiosi Léngua Mèdra Rèş e la nôstra léngua arşâna propongono mensilmente un approfondimento sulla nostra straordinaria lingua madre, il dialetto reggiano!

Non perdetevi questi appuntamenti, alla scoperta del significato di espressioni, modi di dire, proverbi e molto altro!
L’appuntamento mensile di SETTEMBRE con la nostra rubrica dialettale si compone di due contenuti:

👉Lambrósch

In queste settimane, nelle cantine reggiane si sta preparando il vino nuovo. Dedichiamo allora questo appuntamento mensile con la rubrica del dialetto reggiano al lambrósch. Da dove proviene questo nome?

🧐 Quando si cerca l’etimologia di una parola si entra in un campo minato, tante possono essere le spiegazioni che vengono proposte dagli studiosi, ed è così anche per il lambrusco. Noi, che non siamo esperti in materia, vogliamo alcune ipotesi reperite in letteratura, lasciando ad ogni lettore la scelta di quale gli sembra più plausibile.
Il termine labrusca o labruscum venne citato da Plinio il Vecchio (23-79 d.C) nel XIV Libro della Naturalis Historia per indicare una specie di vite selvatica. Non sappiamo però, è bene precisare, se il vino che noi chiamiamo lambrusco derivi veramente da quelle stesse specie di viti selvatiche citate secoli prima da Plinio o se, nel corso dei secoli, quel nome sia stato utilizzato per un vitigno diverso.
Secondo Ottorino Piangiani, cultore di linguistica e autore di un (criticato) Vocabolario etimologico della lingua italiana (1907), questo termine deriverebbe dalla fusione di due parole:
– dal latino labrum (orlo, bordo, margine), perché le viti selvatiche crescevano ai margini o alle estremità dei campi, dove finivano le colture o, in alternativa, dal greco labo (prendo) perché la vite è un rampicante che si attacca agli altri alberi;
– ruscus, dal nome latino di un arbusto pungente, ben noto con il nome di pungitopo, perché l’uva di quelle viti selvatiche pungeva il palato. Da questo termine deriverebbe anche la parola brusco, col significato di cosa dal sapore asprigno.

Un’altra possibile spiegazione, molto interessante, è riportata nel DESLI-Dizionario Etimologico semantico della lingua italiana (Pendragon, 2015) di due eminenti studiosi, Mario Alinei e Francesco Benozzo.
Secondo questi autori, il termine lambrusco deriverebbe sì dal latino labrusca, ma questo a sua volta sarebbe collegato al latino rusca/brusca, con il significato di ‘immondezzaio’ (da cui le forme dialettali emiliane del tipo rósch e ruscarōla per indicare “immondizia, immondezzaio, pattumiera”). Questa correlazione si spiegherebbe con la teoria di alcuni archeologi secondo la quale gli immondezzai preistorici, legati ai primi nuclei abitativi del Neolitico, in seguito all’accumularsi in essi di semi, frammenti di radici e organi vegetativi, diventarono col tempo delle specie di aiuole seminate, uno degli ambienti ai quali è possibile far risalire la prima domesticazione della vite selvatica.
Qualunque sia la vera origine della parola lambrósch, dopo aver citato tanta scienza, ci concediamo un po’ di relax con alcuni versi dell’Elogio del Lambrusco di Rolando Cavandoli, poeta dialettale medaglia d’oro nella prima edizione del concorso di poesia della Giareda nel 1981:

A l’òst o in ca’ o in parèint, ovunque sía,
un bòun bicér d’ Lambrósch l’é còl ch’agh vôl:
al t’arsòra, al t’arbóssa, al t’dà alegría,
al s’cióma, al brélla, al canta c’me n’us’gnol.
S’et gh’èe tristèzza, lo l’ t’ la càza via,
s’a pióv o nèiva, lo l’fa gnir al sól.
…….
Quand al Lambrósch al canta, lev’t’ in pée,
vóda al bicér dòu vòlti e torn’g’ adrée.

👉 Storî dal Tabâr – Setèmber e i gréj che cànten…

Stê mó a sintîr la mé gint: gh îv mai fât chèş a come cambia in setèmber al cânt di gréj mâs’c?
Non avete mai fatto caso al mutare del canto dei grilli maschi nell’ attuale stagione?
Se al calar della sera vi fermate sul limitare di un prato, potrete facilmente ascoltare il concerto dei grilli, che adès “cantèn a la lòunga”. Sono passati dal frinio forte e giocoso della primavera- estate, quando dovevano fare innamorare le femmine, ad un ritmo lento e accorato, quasi una melanconica melodia che annuncia l’autunno.

Amo pensare che il loro canto sia di saluto e accompagnamento all’eterno rincorrersi di Luce e Buio: ora è Luce che scappa e Buio la insegue dappresso, senza prenderla mai.
A pêra propria che şōghen a ciapa- ajóta, perché dôp,in invêren, al şōgh al câmbia: l ē al Scûr ch al scâpa e la Lûş ch l a gh cór adrê, in ’na stôria ch l an finirà mai … almēno speròm.

Uêter, intânt, stê alēgher cme un grél!
Stê bèin e po’ grâsia.

Al prossimo mese!
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