Rubrica mensile in dialèt arşân – Luglio 2025

Il Comune di Albinea e il gruppo di cultori e studiosi Léngua Mèdra Rèş e la nôstra léngua arşâna propongono come ogni mese un approfondimento sulla nostra straordinaria lingua madre, il dialetto reggiano!

Non perdetevi questo appuntamento, alla scoperta del significato di espressioni, modi di dire, proverbi e molto altro!

Per il mese di luglio proponiamo:

𝗟𝗮 𝘁𝗲𝗻𝗮𝗰𝗲 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗶𝘀𝘁𝗲𝗻𝘇𝗮 𝗱𝗲𝗴𝗹𝗶 𝘀𝗰𝘂𝘁𝗺𝗮̂𝗷

Scutmâj è un termine dialettale che significa “nomignolo”, “soprannome”. Sembra che derivi dal tedesco “schuld” (antico alto tedesco “skult”): colpa, difetto (cambiato nel latino parlato “scult”) e da “mal”: ‘chiacchiera, predica, parlantina, discorso’; da questo a “scult-mal” per evidenziare o nascondere la caratteristica o il difetto della persona a cui viene assegnato. C’è da dire che ai tempi di Carlo Magno la parola “mal” veniva pronunciata “mail”: forse per questo motivo il vocabolo è stato cambiato in “scult-mail” poi, con il tempo si è perso la “l” e il risultato è stato “scut-maj”.

Ancora oggi, in molti paesi, vi sono anziani che ricordano gli scutmâj di molte famiglie e lunghe liste di questi soprannomi si trovano pubblicate in appendice a molti vocabolari delle lingue locali. A volte lo scutmâj era legato a un difetto della persona o a un episodio non particolarmente edificante della sua vita; pertanto, per ragioni di privacy ante-litteram, gli abbinamenti ai rispettivi cognomi sono spesso occultati e si finirà con perderne traccia. Per loro natura, gli scutmâj identificavano interi rami famigliari, tanto che spesso gli abitanti del luogo non conoscevano più i veri cognomi di molti compaesani.

Un caso esemplare, riportato nel Vocabolario del Dialetto di Cavriago (ed. 2022) è quello di un bambino che interrogato dalla maestra sul luogo di nascita del Duce rispose “Betlemme…”. E quello fu il suo scutmâj per tutta la vita. Un altro caso molto interessante è quello dello scutmâj “Zucchi” che per oltre 150 anni ha identificato la famiglia Gallavotti di Sant’Arcangelo di Romagna. Questa è la storia come raccontata sul web dal sig. Giorgio Gallavotti:

“𝘘𝘶𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘯𝘦𝘭 1831𝘴𝘤𝘰𝘱𝘱𝘪𝘢𝘳𝘰𝘯𝘰 𝘪 𝘮𝘰𝘵𝘪 𝘪𝘯𝘴𝘶𝘳𝘳𝘦𝘻𝘪𝘰𝘯𝘢𝘭𝘪 𝘱𝘦𝘳 𝘭’𝘢𝘳𝘳𝘦𝘴𝘵𝘰 𝘥𝘪 𝘊𝘪𝘳𝘰 𝘔𝘦𝘯𝘰𝘵𝘵𝘪, 𝘪𝘭 𝘨𝘦𝘯𝘦𝘳𝘢𝘭𝘦 𝘊𝘢𝘳𝘭𝘰 𝘡𝘶𝘤𝘤𝘩𝘪, 𝘮𝘪𝘭𝘪𝘵𝘢𝘳𝘦 𝘯𝘢𝘱𝘰𝘭𝘦𝘰𝘯𝘪𝘤𝘰 (𝘳𝘦𝘨𝘨𝘪𝘢𝘯𝘰 𝘥𝘰𝘤), 𝘰𝘳𝘨𝘢𝘯𝘪𝘻𝘻𝘰̀ 𝘶𝘯 𝘣𝘢𝘵𝘵𝘢𝘨𝘭𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘥𝘪 800 𝘷𝘰𝘭𝘰𝘯𝘵𝘢𝘳𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘤𝘰𝘮𝘣𝘢𝘵𝘵𝘦𝘳𝘰𝘯𝘰 𝘦 𝘴𝘤𝘰𝘯𝘧𝘪𝘴𝘴𝘦𝘳𝘰 𝘭𝘦 𝘵𝘳𝘶𝘱𝘱𝘦 𝘥𝘦𝘭𝘭’𝘦𝘴𝘦𝘳𝘤𝘪𝘵𝘰 𝘥𝘦𝘭 𝘗𝘰𝘯𝘵𝘦𝘧𝘪𝘤𝘦. 𝘍𝘪𝘯𝘪𝘵𝘢 𝘭𝘢 𝘣𝘢𝘵𝘵𝘢𝘨𝘭𝘪𝘢, 𝘤𝘰𝘯 𝘮𝘰𝘳𝘵𝘪 𝘥𝘢 𝘢𝘮𝘣𝘰 𝘭𝘦 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘪, 𝘭𝘦 𝘵𝘳𝘶𝘱𝘱𝘦 𝘥𝘦𝘭 𝘨𝘦𝘯𝘦𝘳𝘢𝘭𝘦 𝘡𝘶𝘤𝘤𝘩𝘪 𝘴𝘪 𝘢𝘤𝘤𝘢𝘮𝘱𝘢𝘳𝘰𝘯𝘰 𝘴𝘶𝘭𝘭𝘦 𝘴𝘱𝘰𝘯𝘥𝘦 𝘥𝘦𝘭 𝘧𝘪𝘶𝘮𝘦 𝘔𝘢𝘳𝘦𝘤𝘤𝘩𝘪𝘢, 𝘢 𝘣𝘳𝘦𝘷𝘦 𝘥𝘪𝘴𝘵𝘢𝘯𝘻𝘢 𝘥𝘢 𝘚𝘢𝘯𝘵𝘢𝘳𝘤𝘢𝘯𝘨𝘦𝘭𝘰. 𝘈𝘷𝘦𝘷𝘢𝘯𝘰 𝘯𝘦𝘤𝘦𝘴𝘴𝘪𝘵𝘢̀ 𝘥𝘪 𝘷𝘦𝘵𝘵𝘰𝘷𝘢𝘨𝘭𝘪𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰 𝘱𝘳𝘪𝘮𝘢 𝘥𝘪 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘪𝘯𝘶𝘢𝘳𝘦 𝘭𝘢 𝘭𝘰𝘳𝘰 𝘮𝘢𝘳𝘤𝘪𝘢 𝘷𝘦𝘳𝘴𝘰 𝘴𝘶𝘥. 𝘓’𝘢𝘵𝘵𝘦𝘯𝘥𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘥𝘦𝘭 𝘨𝘦𝘯𝘦𝘳𝘢𝘭𝘦 𝘡𝘶𝘤𝘤𝘩𝘪, 𝘥𝘪 𝘤𝘰𝘨𝘯𝘰𝘮𝘦 𝘎𝘢𝘭𝘭𝘢𝘷𝘰𝘵𝘵𝘪, 𝘦𝘳𝘢 𝘯𝘢𝘵𝘪𝘷𝘰 𝘥𝘪 𝘚𝘢𝘯𝘵𝘢𝘳𝘤𝘢𝘯𝘨𝘦𝘭𝘰 𝘦 𝘪𝘭 𝘨𝘦𝘯𝘦𝘳𝘢𝘭𝘦 𝘯𝘦 𝘢𝘱𝘱𝘳𝘰𝘧𝘪𝘵𝘵𝘰̀: 𝘧𝘪𝘳𝘮𝘰̀ 𝘥𝘦𝘪 𝘣𝘶𝘰𝘯𝘪 𝘥𝘪 𝘢𝘤𝘲𝘶𝘪𝘴𝘵𝘰 𝘦 𝘭𝘰 𝘮𝘢𝘯𝘥𝘰̀ 𝘢 𝘚𝘢𝘯𝘵𝘢𝘳𝘤𝘢𝘯𝘨𝘦𝘭𝘰 𝘱𝘦𝘳 𝘧𝘢𝘳𝘦 𝘥𝘦𝘵𝘵𝘪 𝘢𝘤𝘲𝘶𝘪𝘴𝘵𝘪. 𝘐𝘭 𝘱𝘰𝘱𝘰𝘭𝘰 𝘦 𝘪 𝘱𝘪𝘤𝘤𝘰𝘭𝘪 𝘤𝘰𝘮𝘮𝘦𝘳𝘤𝘪𝘢𝘯𝘵𝘪 𝘦𝘳𝘢𝘯𝘰 𝘵𝘢𝘭𝘮𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘴𝘵𝘢𝘯𝘤𝘩𝘪 𝘥𝘦𝘭 𝘥𝘰𝘮𝘪𝘯𝘪𝘰 𝘱𝘢𝘱𝘢𝘭𝘦 𝘤𝘩𝘦 𝘣𝘦𝘯 𝘷𝘰𝘭𝘦𝘯𝘵𝘪𝘦𝘳𝘪 𝘥𝘪𝘦𝘥𝘦𝘳𝘰 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘰 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘰𝘤𝘤𝘰𝘳𝘳𝘦𝘷𝘢 𝘢𝘭𝘭𝘦 𝘵𝘳𝘶𝘱𝘱𝘦, 𝘢𝘤𝘤𝘦𝘵𝘵𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘪 𝘣𝘶𝘰𝘯𝘪 𝘥𝘦𝘭 𝘎𝘦𝘯𝘦𝘳𝘢𝘭𝘦 𝘡𝘶𝘤𝘤𝘩𝘪 𝘤𝘰𝘮𝘦 𝘱𝘳𝘰𝘮𝘦𝘴𝘴𝘢 𝘥𝘪 𝘱𝘢𝘨𝘢𝘮𝘦𝘯𝘵𝘰: 𝘢 𝘨𝘶𝘦𝘳𝘳𝘢 𝘧𝘪𝘯𝘪𝘵𝘢, 𝘤𝘰𝘯 𝘭’𝘶𝘯𝘪𝘵𝘢̀ 𝘥’𝘐𝘵𝘢𝘭𝘪𝘢, 𝘴𝘢𝘳𝘦𝘣𝘣𝘦𝘳𝘰 𝘴𝘵𝘢𝘵𝘪 𝘴𝘢𝘭𝘥𝘢𝘵𝘪 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘪 𝘪 𝘥𝘦𝘣𝘪𝘵𝘪. 𝘚𝘦𝘯𝘰𝘯𝘤𝘩𝘦́ 𝘪𝘭 𝘨𝘦𝘯𝘦𝘳𝘢𝘭𝘦 𝘡𝘶𝘤𝘤𝘩𝘪 𝘧𝘶 𝘧𝘢𝘵𝘵𝘰 𝘱𝘳𝘪𝘨𝘪𝘰𝘯𝘪𝘦𝘳𝘰 𝘴𝘶𝘣𝘪𝘵𝘰 𝘥𝘰𝘱𝘰, 𝘭𝘢 𝘙𝘰𝘮𝘢𝘨𝘯𝘢 𝘳𝘪𝘵𝘰𝘳𝘯𝘰̀ 𝘴𝘰𝘵𝘵𝘰 𝘪𝘭 𝘥𝘰𝘮𝘪𝘯𝘪𝘰 𝘥𝘦𝘭 𝘗𝘢𝘱𝘢 𝘤𝘩𝘦 𝘴𝘪 𝘨𝘶𝘢𝘳𝘥𝘰̀ 𝘣𝘦𝘯𝘦 𝘥𝘢𝘭 𝘱𝘢𝘨𝘢𝘳𝘦 𝘪 𝘥𝘦𝘣𝘪𝘵𝘪 𝘭𝘢𝘴𝘤𝘪𝘢𝘵𝘪 𝘥𝘢𝘭 𝘨𝘦𝘯𝘦𝘳𝘢𝘭𝘦. 𝘋𝘢 𝘢𝘭𝘭𝘰𝘳𝘢 𝘯𝘢𝘤𝘲𝘶𝘦 𝘪𝘭 𝘥𝘦𝘵𝘵𝘰 “𝘤𝘩𝘪 𝘱𝘢𝘨𝘢? 𝘗𝘢𝘨𝘢 𝘡𝘶𝘤𝘤𝘩𝘪”, 𝘰𝘷𝘷𝘦𝘳𝘰 𝘯𝘦𝘴𝘴𝘶𝘯𝘰, 𝘢𝘯𝘤𝘰𝘳𝘢 𝘪𝘯 𝘶𝘴𝘰 𝘢 𝘚𝘢𝘯𝘵’𝘈𝘳𝘤𝘢𝘯𝘨𝘦𝘭𝘰. 𝘈 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭’𝘢𝘵𝘵𝘦𝘯𝘥𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘥𝘪 𝘚𝘢𝘯𝘵𝘢𝘳𝘤𝘢𝘯𝘨𝘦𝘭𝘰 𝘷𝘦𝘯𝘯𝘦 𝘥𝘢𝘵𝘰 𝘪𝘭 𝘴𝘰𝘱𝘳𝘢𝘯𝘯𝘰𝘮𝘦 “𝘡𝘶𝘤𝘤𝘩𝘪” 𝘦 𝘥𝘢 𝘢𝘭𝘭𝘰𝘳𝘢 𝘪𝘯 𝘱𝘰𝘪, 𝘧𝘪𝘯𝘰 𝘢𝘨𝘭𝘪 𝘪𝘯𝘪𝘻𝘪 𝘥𝘦𝘭 2000, 𝘭𝘢 𝘧𝘢𝘮𝘪𝘨𝘭𝘪𝘢 𝘎𝘢𝘭𝘭𝘢𝘷𝘰𝘵𝘵𝘪 𝘥𝘪 𝘚𝘢𝘯𝘵’𝘈𝘳𝘤𝘢𝘯𝘨𝘦𝘭𝘰 𝘦𝘳𝘢 𝘤𝘰𝘯𝘰𝘴𝘤𝘪𝘶𝘵𝘢 𝘤𝘰𝘮𝘦 “𝘪 𝘡𝘶𝘤𝘤𝘩𝘪”. 𝘓𝘰 𝘴𝘵𝘦𝘴𝘴𝘰 𝘎𝘪𝘰𝘳𝘨𝘪𝘰 𝘎𝘢𝘭𝘭𝘢𝘷𝘰𝘵𝘵𝘪, 𝘲𝘶𝘢𝘯𝘥’𝘦𝘳𝘢 𝘣𝘢𝘮𝘣𝘪𝘯𝘰, 𝘦𝘳𝘢 𝘤𝘩𝘪𝘢𝘮𝘢𝘵𝘰 “𝘻𝘶𝘤𝘢𝘳𝘦𝘪𝘯”. 𝘈𝘴𝘴𝘪𝘦𝘮𝘦 𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘮𝘰𝘨𝘭𝘪𝘦 𝘩𝘢 𝘨𝘦𝘴𝘵𝘪𝘵𝘰 𝘶𝘯𝘢 𝘮𝘦𝘳𝘤𝘦𝘳𝘪𝘢 𝘤𝘰𝘯 𝘭’𝘪𝘯𝘴𝘦𝘨𝘯𝘢 “𝘉𝘦𝘳𝘵𝘰 𝘢𝘥 𝘡𝘶𝘤𝘤𝘩𝘪” 𝘧𝘪𝘯𝘰 𝘢𝘭 2002 (𝘉𝘦𝘳𝘵𝘰 𝘦𝘳𝘢 𝘪𝘭 𝘥𝘪𝘮𝘪𝘯𝘶𝘵𝘪𝘷𝘰 𝘥𝘪 𝘈𝘭𝘣𝘦𝘳𝘵𝘰, 𝘱𝘢𝘥𝘳𝘦 𝘥𝘪 𝘎𝘪𝘰𝘳𝘨𝘪𝘰). 𝘋𝘰𝘱𝘰 𝘭𝘢 𝘨𝘶𝘦𝘳𝘳𝘢 𝘭𝘦 𝘥𝘪𝘵𝘵𝘦 𝘢𝘷𝘦𝘷𝘢𝘯𝘰 𝘱𝘦𝘳𝘴𝘰 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘪 𝘪 𝘳𝘪𝘧𝘦𝘳𝘪𝘮𝘦𝘯𝘵𝘪 𝘥𝘦𝘭𝘭𝘢 𝘭𝘰𝘳𝘢 𝘤𝘭𝘪𝘦𝘯𝘵𝘦𝘭𝘢. 𝘐 𝘯𝘶𝘰𝘷𝘪 𝘳𝘢𝘱𝘱𝘳𝘦𝘴𝘦𝘯𝘵𝘢𝘯𝘵𝘪 𝘯𝘢𝘷𝘪𝘨𝘢𝘷𝘢𝘯𝘰 𝘢 𝘷𝘪𝘴𝘵𝘢, 𝘈𝘳𝘳𝘪𝘷𝘢𝘵𝘪 𝘢𝘭 𝘱𝘢𝘦𝘴𝘦 𝘤𝘩𝘪𝘦𝘥𝘦𝘷𝘢𝘯𝘰 𝘥𝘪 𝘶𝘯 𝘤𝘦𝘳𝘵𝘰 𝘎𝘢𝘭𝘭𝘢𝘷𝘰𝘵𝘵𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘷𝘦𝘯𝘥𝘦𝘷𝘢 𝘮𝘦𝘳𝘤𝘦𝘳𝘪𝘢, 𝘤𝘢𝘮𝘪𝘤𝘪𝘦, 𝘮𝘢𝘨𝘭𝘪𝘦 𝘦𝘤𝘤. 𝘓𝘢 𝘨𝘦𝘯𝘵𝘦 𝘴𝘪 𝘨𝘶𝘢𝘳𝘥𝘢𝘷𝘢 𝘪𝘯 𝘧𝘢𝘤𝘤𝘪𝘢 𝘱𝘦𝘳 𝘪𝘯𝘵𝘦𝘳𝘳𝘰𝘨𝘢𝘳𝘴𝘪, 𝘮𝘢 𝘢𝘭𝘭𝘢 𝘧𝘪𝘯𝘦 𝘥𝘪𝘤𝘦𝘷𝘢𝘯𝘰 “𝘢 𝘲𝘶𝘦̀ 𝘶 𝘪𝘦̀ 𝘴𝘯𝘰 𝘉𝘦𝘳𝘵𝘰 𝘢𝘥 𝘡𝘶𝘤𝘤𝘩𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘷𝘦𝘯𝘥 𝘤𝘭𝘢 𝘳𝘰𝘣𝘢, 𝘯𝘦𝘶𝘯 𝘮𝘢 𝘎𝘢𝘭𝘭𝘢𝘷𝘰𝘵𝘵𝘪 𝘢 𝘯𝘦 𝘤𝘯𝘶𝘴𝘤𝘦𝘮”. 𝘛𝘳𝘢𝘥𝘶𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦: “𝘲𝘶𝘪 𝘤’𝘦̀ 𝘴𝘰𝘭𝘰 𝘉𝘦𝘳𝘵𝘰 𝘢𝘥 𝘡𝘶𝘤𝘤𝘩𝘪 𝘤𝘩𝘦 𝘷𝘦𝘯𝘥𝘦 𝘲𝘶𝘦𝘭𝘭𝘦 𝘤𝘰𝘴𝘦, 𝘯𝘰𝘪 𝘎𝘢𝘭𝘭𝘢𝘷𝘰𝘵𝘵𝘪 𝘯𝘰𝘯 𝘭𝘰 𝘤𝘰𝘯𝘰𝘴𝘤𝘪𝘢𝘮𝘰”. 𝘐𝘭 𝘣𝘦𝘭𝘭𝘰 𝘦̀ 𝘤𝘩𝘦 𝘨𝘪𝘰𝘤𝘢𝘷𝘢𝘯𝘰 𝘪𝘯𝘴𝘪𝘦𝘮𝘦 𝘢 𝘤𝘢𝘳𝘵𝘦 𝘵𝘶𝘵𝘵𝘦 𝘭𝘦 𝘴𝘦𝘳𝘦.

Si ringrazia Livio Ferretti per la preziosa consulenza etimologica del termine scutmâj.