Rubrica mensile in dialèt arşân – Gennaio 2024

Il Comune di Albinea e il gruppo di cultori e studiosi Léngua Mèdra Rèş e la nôstra léngua arşâna propongono come ogni mese un approfondimento sulla nostra straordinaria lingua madre, il dialetto reggiano!

Non perdetevi questo appuntamento, alla scoperta del significato di espressioni, modi di dire, proverbi e molto altro!

IL LONFO (AL LÒUNF)

Il Lonfo è una poesia scritta nel 1978 da Fosco Maraini , scritta in un linguaggio completamente inventato e da lui stesso definito “metasemantica”. Se la semantica è quella parte della linguistica che studia il significato delle parole, e più in generale, dei testi, la metasemantica vuole andare oltre al significato. Le parole del Lonfo, incomprensibili se prese singolarmente, quando vengono associate tra di loro possono suggerire a chi le legge (o a chi le ascolta) un possibile significato logico, perché il loro suono richiama alla mente altre parole italiane o dialettali. Questo è possibile anche perché il testo deve obbedire a regole sintattiche e grammaticali proprie della lingua di riferimento. La poesia Il Lonfo, ad esempio, è scritta in endecasillabi, a rima alternata, secondo lo schema ABAB CDCD.

I commenti in rete si spingono a definire il Lonfo come un misterioso animale dal comportamento schivo, pigro, spesso dispettoso e imprevedibile. Tuttavia, dare una interpretazione unica della poesia significa tradire le intenzioni del poeta che voleva lasciare ampia libertà di interpretazione ad ogni lettore.

Nella introduzione a Gnosi delle Fanfole, il libro in cui è pubblicata questa poesia, Fosco Maraini scrisse infatti:

«Il linguaggio comune, salvo rari casi, mira ai significati univoci, puntuali, a centratura precisa. Nel linguaggio metasemantico invece le parole non infilano le cose come frecce, ma le sfiorano come piume, o colpi di brezza, o raggi di sole, dando luogo a molteplici diffrazioni, a richiami armonici, a cromatismi polivalenti, a fenomeni di fecondazione secondaria, a improvvise moltiplicazioni catalitiche nei duomi del pensiero, dei moti più segreti» «Nella poesia metasemantica il lettore deve contribuire con un massiccio intervento personale. La crasi non è data dall’incontro con un oggetto, bensì, piuttosto, dal tuffo in un evento. Il lettore non diventa solo azionista del poetificio, ma entra subito a far parte del consiglio di gestione e deve lui, anche, provvedere alla produzione del brivido lirico. L’autore più che scrivere, propone. Se è riuscito nel suo intento, può dire di aver offerto un trampolino, nulla più. Quanto mi divertirei …]»

Questa tecnica letteraria affonda le sue radici nei componimenti non-sense presenti nella letteratura inglese fin dal 1600. Molto famosa è la poesia Jabberwocky, scritta nel 1871 dal reverendo Lewis Carrol, l’autore di Alice nel Paese delle Meraviglie, tradotta in ben 65 lingue (in Italia è stata “tradotta” da più autori). In questa poesia Carrol utilizzò molti termini nati dalla fusione di due o più parole. Ad esempio, burbled – to burble deriva dall’unione di bleat, murmer e warble (belato, mormorio e gorgheggio) e indica un brontolio. Nel Lonfo è il suono delle parole a creare un’assonanza con termini noti.

Nonostante la sua incomprensibilità, il Lonfo è diventato famosissimo grazie alle interpretazioni di Gigi Proietti (oltre 3 milioni di visualizzazioni) e della piccola Maddy Paris (30 milioni di visualizzazioni).

Denis Ferretti propone qui la sua versione dialettale del Lonfo, posta a confronto con l’originale metasemantico di Fosco Maraini. Ancora un’occasione, dunque, per avvicinare alla poesia anche i bambini più piccoli, sia essa in lingua metasemantica o in dialetto.

ll Lonfo

di: Fosco Maraini

Il Lonfo non vaterca né gluisce

e molto raramente barigatta,

ma quando soffia il bego a bisce bisce

sdilenca un poco e gnagio s’archipatta.

È frusco il Lonfo! È pieno di lupigna

arrafferia malversa e sofolenta!

Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna

se lugri ti botalla e ti criventa.

Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto

che bete e zugghia e fonca nei trombazzi

fa lègica busìa, fa gisbuto;

e quasi quasi in segno di sberdazzi

gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto

t’alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi.

Al Lòunf

Al lòunf as sà ch’al ‘n e mia bòun ‘d vardghêr

sōl quând a sòppia ‘l bîgh al barigâta

al şdlénga pôch es al glués ed cêr

e a bés a bés bèin gnâşi ló ‘l s arcpâta.

L ē frósch al lòunf! L ē tót pîn ed luvégna

al rafréja, al malvêrsa, al suflintés;

se ‘t ciòunf al t eşbidója e pó ‘l t rupégna

se ‘t lûgher ló ‘l t budâja e ‘l t crivintés

Però ‘l Lunfòun csé vèc e csé marşlòuş

ch’al bēt e ‘l sógia e ‘l fòunca indi trunbâs

al fá prân léşga bóşşia, al fá ‘l şişbòuş

e quêşi quêşi in sègn ed gran şbardâs

t agh farfarés un şgnéf! Mó ló, bèin giòuş,

al t lôpa e ‘l t eşbertnècia e té t al ciâs.

Traduzione di Denis Ferretti

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