Il 6 settembre l’inaugurazione della mostra “Niente è separato” di Giuliano Davoli

Si intitola “Niente è separato” la mostra di Giuliano Davoli che verrà inaugurata il 6 settembre, alle ore 11, in sala civica e resterà visitabile fino al 21 dello stesso mese.

In mostra sarà presente un’opera dedicata a Gaza.

“Sono ormai un vecchio che si addormenta davanti la tv, ma è troppo tempo che le immagini di Gaza interrompono le mie apnee notturne – spiega l’artista – Gaza: ovunque corpi innocenti straziati, macerie su macerie, terrificanti, le immagini dal satellite mi provocano ansia e rabbia, una grigia coltre di polvere avvolge tutto, mi sento con vergogna impotente a tutto questo. Porgo con questa mia opera un modesto tributo a tutti morti di Gaza”.

DICE DI DAVOLI IL CRITICO MASSIMO MUSSINI

“Il termine naïf è oggi usurato e non corrisponde più alla sua accezione primitiva. Infatti, si definiscono in tal modo i pittori che seguono uno stile apparentemente primitivo e incolto, mentre in realtà imitano una tendenza ben strutturata e commercializzata.

Definire naïf Giuliano Davoli non mi pare dunque corretto, perché temi e stile non corrispondono a quanto ci si aspetta da un pittore oggi definibile come tale.

Una cosa è certa, comunque: Davoli non ha mai frequentato scuole a indirizzo artistico, né tantomeno ha seguito corsi di pittura. La sua, pertanto, può essere definita più correttamente pittura “autoappresa” ed è il frutto di una serie di tentativi che dagli anni Novanta del secolo scorso, quando ha cessato la sua professione di chef, gli hanno offerto un’attività distensiva capace di soddisfarlo psicologicamente.

Le sue opere, pertanto, vanno giudicate con parametri differenti da quelli utilizzati per gli artisti di professione o i dilettanti cosiddetti “evoluti”, perché hanno seguito qualche corso in cui hanno imparato a usare colori e pennelli.

Se naïf significa anche “senza alcun indirizzo estetico”, Davoli non è naïf, perché nei suoi dipinti echeggiano ricordi di diverse correnti artistiche novecentesche, rivelatrici del suo vivace interesse per le arti figurative. Più corretto, credo, sia definirlo un pittore non condizionato dagli “ismi” che oggi punteggiano l’arte contemporanea.

Non è del tutto figurativo e non è neppure astrattista, poiché utilizza questi stili a seconda dei momenti e dei temi affrontati e, se proprio vogliamo fare sfoggio di riconoscimento stilistico (cosa che mi è aliena per carattere, ma che in questo caso è utile per chiarire il discorso), nelle sue tele affiora il ricordo delle opere espressioniste e dell’astrattismo nelle loro diverse declinazioni, riappare la lezione delle Avanguardie novecentesche con l’à plat matissiano, qualche ricordo della scultura cubista e delle composizioni di Klee e di Kandinskij, perfino qualche accenno alla quarta dimensione intuibile in dipinti di Dalì. E chi più ne trova, più ne citi.

Cosa significa tutto questo? Che Davoli non sappia quale direzione prendere e perciò vaghi qua e là senza costrutto?

Non lo credo proprio, perché me lo suggerisce la sua storia. L’arte culinaria, infatti, richiede capacità di armonizzare sapori diversi, come ben sappiamo e l’armonia creativa non è appannaggio di tutti.

Egli dipinge primariamente per liberare il proprio inconscio concretizzandolo in una sinfonia di segni e colori che sente risuonare dentro di lui. La sua pittura, dunque, è destinata innanzitutto a soddisfare lui stesso e, se ce la mostra, è per invitarci a utilizzarla come strumento di sollecitazione emotiva personale.

In definitiva, la sua è una pittura che non si propone come espediente commerciale, ma quale strumento ludico, quasi un gioco di società capace di raccogliere intorno a un tavolo un gruppo di amici, che hanno soltanto lo scopo di trascorrere insieme piacevolmente un po’ di tempo. Senza dimenticare, però, che i suoi dipinti sono anche gradevoli all’occhio, perché mostrano un’innata e armonica capacità compositiva”.